Si usa affermare che a Napoli ogni occasione è buona per far festa, come ben sapeva il re nasone che, con la teoria delle tre effe, “festa, farina e forca”, riusciva a far digerire al popolo gabelle e differenze sociali. In realtà Ferdinando I metteva in atto la teoria di Giovenale, l’antenato della Litizzetto, che con sua la satira, già all’inizio del primo millennio, amava giocare sul rapporto tra governanti e popolo.
Il popolo napoletano è stato sempre al gioco in quanto era nella sua indole seguire l’invito di Lorenzo il magnifico: “chi vuol essere lieto sia: di domani non c’è certezza”, una sorte di: “dimane penzo è diebbete stasera sò’ nu re” di muroliana memoria.
Non solo, il vero partenopeo ama condividere la sua indole e, quindi, i matrimoni, le comunioni e battesimi sono occasioni per “fare piedigrotta”. Piedigrotta, appunto. La regina delle feste. Nata come festa pagana con la quale si omaggiava Re Priapo, si intendeva anche onorare il culto della fertilità e della Madonna Vergine. Due settimane per ballare, abbuffarsi; fare ammuina insomma.


La trasformazione con Carlo III
Carlo III trasformò il rito nella festa che un po’ tutti conosciamo, con la sfilata dei carri seguiti da orchestrine che intonavano le nuove canzoni.
Ricordo quei giorni di allegria, spesso ostentata e forzata. Con i miei genitori, fratelli e sorelle ci si accodava per seguire i carri fino a Piazza Plebiscito. Lungo il percorso una fila di bancarelle vendevano dolciumi di produzione arrangiata di vario genere come torrone, franfellicchi, caramelle d’orzo, zucchero filato, c’era il venditore del cosiddetto “passatiempo” da qualcuno ricordato anche come ‘o spasso che era nu cuoppo con ceci, sementi di zucca e noccioline americane sapientemente tostati. C’era anche qualche venditore di spighe lesse o arrostite denominate intorza panza.
Questi prodotti venivano considerati vere prelibatezze per i bambini con genitori soddisfatti in quanto con quattro soldi assolvevano al loro ruolo. I più danarosi, invece, occupavano i tavolini esterni delle numerose pizzerie. Ricordo mio padre, rivolto a mia madre, che si prometteva e prometteva “marì appena putimm ce facimme passà ‘o sfizio e fa e signure, e, nel frattempo, entrambi si saziavano con il cuoppo di zeppole e panzarotti. Ancora oggi ogni volta che vado in pizzeria quella promessa ritorna cogliendomi sempre impreparato a nascondere l’emozione provocata dal ricordo di quella frase, colma di speranza e dignità.
Giochi, musica e il festival della canzone
Non potevano mancare i banconi con giochi di vario genere come la pesca dei pesciolini, l’abbattimento dei barattoli, il tira a segno e quant’altro regolarmente reso argutamente difficile come, addirittura col trucco, “l’appizzata de figurine”: bisognava con un coltellino infilzare i fichi d’india deposti in un contenitore a terra. Naturalmente il coltellino veniva unto d’olio per rendere difficile la vincita.
Come accennato, la parte del leone, oltre che dalla sfilata dei carri, era affidata al festival della canzone di Piedigrotta. Sul palco, accompagnati dall’orchestra, prevalentemente composta da suonatori di chitarra e mandolino, si esibivano cantanti famosi o meno. Dal giorno dopo le canzoni venivano suonate a mezzo del pianino, una sorta di carillon gigante, che trainato a mano e, raramente, da un cavallo, faceva da promozione ai motivi il cui testo e partitura venivano riprodotti sulle copielle esposte per la vendita ad amanti della canzone e dagli artisti.
Si può dire che il pianino era un antenato del jukebox, della hit parade e del negozio di dischi. La vendita delle copielle decretava il gradimento della canzone e relativo successo.


La fine della festa e la nostalgia
Piedigrotta ormai non esiste più forse perché il napoletano, il neo napoletano, non sa conservare le proprie tradizioni ed usa la parola folclore in modo minimalista, addebitando la causa della scomparsa della festa ad una suo improponibilità per ragioni urbanistiche e perché usanza obsoleta.
Falso! Il Palio di Siena, la giostra del saracino, il carnevale di Venezia e manifestazioni simili rappresentano ancora promozione turistica ed occasione per onorare le tradizioni dei relativi luoghi di svolgimento. Per i nostalgici è rimasta la festa del giglio che, pur proclamata dall’Unesco patrimonio orale e immateriale dell’umanità, rimane una festa religiosa locale.
Ai nostri figli e nipoti congediamo la festa di Halloween con zero tradizione, niente folclore e, soprattutto, lasciata alle loro iniziative.
Ai nostri eredi mancherà la magia del mio groppo alla gola nel ricordare quando mio padre si prometteva e prometteva.
Giuseppe Olino